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Storia di uno spirito libero che imparò a non essere solo

cura della  Dott.ssa Carol Faitella

L’importanza dell’imparare dai nostri pazienti, così come una madre impara dal suo bambino, perché sono loro, e non noi, quelli che veramente sanno (Margaret Little)

Introduzione 

Sono giornate molto difficili, svuotate dei loro consueti ritmi e del loro incessante rumore. Quello che preoccupa di più noi adulti è il sentimento di essere in preda a qualcosa di esterno e incontrollabile che ha come conseguenza un forte senso d’impotenza. Tutto ciò, inevitabilmente, viene assorbito dai nostri figli, i quali trasformano queste angosce in incubi e paure apparentemente senza causa. Sono molti i bambini di cui ho notizia che in questo periodo vivono forti angosce ed inquietudini legate probabilmente a quanto appena detto. Essere genitori, in questa fase più che mai, significa accogliere le proprie angosce quasi esattamente paragonabili a quelle che i bambini stanfino vivendo, per provare ad avvicinarsi all’esperienza che di questa situazione stanno facendo i nostri figli. L’informarsi, il leggere o lo studiare dati epidemiologici, l’ascoltare telegiornali o radiogiornali, il capire i meccanismi di trasmissione e le mutazioni geniche del virus, concede l’illusione di essere in movimento e di poter controllare quanto accade, ma nel fare questo non ci rendiamo conto quanto all’interno di questo comportamento vi siano dei bias attentivi, ovvero errori cognitivi che ci portano a dare importanza ad alcuni dati ambientali piuttosto che altri (es. focalizzare la nostra attenzione sul numero dei contagi giornalieri senza considerare il numero dei guariti), che in realtà alimentano e mantengono il nostro stato ansioso. Di contro, questa razionalizzazione ci aiuta a rendere tollerabile quanto stiamo vivendo senza essere annientati da un potenziale annichilimento psichico. Tutto ciò, per quanto umanamente comprensibile, non fa bene ai più piccoli che, come spugne, prendono quello che l’ambiente gli fornisce, non solo in termini di vissuti emotivi ma anche di parole e spiegazioni. Spiegare troppo ai bambini, seppur con un linguaggio rimodulato, in questa fase li espone a dei rischi enormi. Dobbiamo essere in grado di accogliere e contenere le loro paure essendo come genitori emotivamente disponibili all’ascolto, soprattutto di quello che non viene detto. I bambini comunicano attraverso i disegni, attraverso il gioco e perché no, anche attraverso i sogni. Come ci suggeriva Winnicott dobbiamo riuscire ad essere “sufficientemente buoni”: collocarci alla giusta distanza per poter cogliere le sfumature, ma non troppo lontani da perderle.

A questo sentimento di impotenza se ne unisce un altro ancora più intollerabile che è quello di sperimentare qualcosa senza sapere quando finirà. Proprio Winnicott in uno dei suoi scritti precisa: “Un prigioniero di guerra dirà che la parte peggiore della sua esperienza è il suo ignorare quando terminerà la prigionia; una prigionia di tre anni diventa così più pesante di una condanna di venti”. Si potrebbero aiutare molti bambini se si potesse assicurare loro che le paure avranno una durata limitata, ma i bambini il più delle volte sono incapaci di capire il nostro linguaggio adulto ed è per questo che risulta importante poter parlare attraverso il loro codice di interpretazione della realtà che è quello del gioco e della fantasia. Poter dare un senso ai nostri figli di quello che accade intorno è cruciale ma è necessario farlo provando ad entrare in punta di piedi nel loro mondo, dove si possono muovere le angosce più profonde ma all’interno del quale è possibile anche elaborarle. 

Queste lunghe settimane in cui ci ritroviamo sospesi tra una vecchia quotidianità che a tratti rimpiangiamo e una nuova tutta da ancora da costruire, rappresentano per le nostre famiglie un’opportunità unica e potenzialmente irripetibile. Un’opportunità per riscoprire, o in fondo semplicemente scoprire, l’unicità e la bellezza di un incontro autentico con chi amiamo. La fretta, la frenesia, i tempi contingentati della nostra consueta quotidianità ci tolgono energie e spazio mentale per poter creare occasioni di condivisione con i nostri figli, quella condivisione fatta di semplicità come l’impastare la frolla con la mamma o giocare a palla in casa con il papà. Possiamo godere di quello che il protagonista della nostra storia non ha mai avuto modo di sperimentare: la bellezza unica dell’esser in relazione con qualcuno. 

Sono giornate di profonda riflessione per chi, come me, lavora con la sofferenza muta e senza parole dei più piccoli ed è in costante movimento rispetto alla possibilità di trovare una strada percorribile per accedere al loro mondo e dare sostegno. Da giorni mi interrogo su come poter dare il mio contributo a distanza a tutti i bambini che quotidianamente riempiono le mie giornate e arricchiscono la mia esperienza. È proprio qui che nasce Viri, un animaletto un po’ insolente che ama andare in giro a fare pasticci. Ho cercato di dare una voce, un’anima e alla fine anche un cuore a questo virus che ha bloccato le nostre vite e si muove nelle fantasie più angoscianti dei nostri figli. Viri è un po’ egoista, non ascolta nessuno e gira solitario per il mondo a far danni, fintanto che non incontra Leo, un bambino dai piccoli grandi occhi che attraverso la sua curiosità riuscirà ad arrivare dritto al suo cuore e con la semplicità propria dei bambini insegnerà a Viri un aspetto cruciale dello sviluppo psichico: la capacità di essere soli. Essere soli è uno dei segni più importanti di maturità nello sviluppo emotivo dei bambini, ma per raggiungere e sviluppare tale abilità è necessario aver fatto esperienza durante l’infanzia di essere soli in presenza di un adulto significativo di riferimento. Leo sarà un buon amico e aiuterà Viri con le sue semplici ma importanti domande, alcune delle quali senza apparente risposta. Proprio come fanno i bambini, quando ci aiutano a capire di più e ben oltre quel che crediamo di sapere. 

“I bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato” – Keith Harin

 La storia

C’era una volta un animaletto piccolo, ma davvero molto molto piccolo, quasi invisibile ad occhio nudo. Il suo nome era Viri. Quel piccoletto era assai birbante, non stava mai fermo e si muoveva da una parte all’altra senza sosta. Abitava in un posto lontano del Mondo e i suoi genitori fin da quando era piccolo cercavano in tutti i modi di farlo stare fermo. Ma era impossibile! Viri come un lampo, girava ovunque, si muoveva continuamente e faceva un sacco di pasticci.

Il giorno in cui era venuto al mondo ci fu una gran confusione dentro casa sua. Era nato in un baleno e senza che la mamma se ne accorgesse lui già girovagava per la stanza. Il papà cercava di acchiapparlo per poterlo abbracciare ma lui niente, voleva solo volarsene nell’Aria. Eh già, fin da subito quel furbacchione aveva come migliore amica proprio lei: Aria.  Aria era l’unica che gli lasciava far quel che voleva, lo portava ovunque volesse e gli permetteva di fare ogni pasticcio possibile. Erano una bella squadra quei due! Lei se lo metteva sulle spalle e lui con le sue zampette giocava a far monellerie. La cosa che più amava era cercare per le strade il maggior numero di persone a cui dar fastidio. Si metteva a ballare e a soffiare proprio sotto i loro nasi e in un attimo ecco che queste… etciù! Ed ecco tutti lì a starnutire, a grattarsi i nasi e a dimenarsi per il fastidio. Ma la cosa più divertente è che ad ogni starnuto Viri faceva un super balzo fin sopra un altro naso. E come se la rideva a rimbalzare di qua e di là, a fare capriole in aria e ad atterrare scivolando da una parte all’altra. Mentre i genitori... che disperazione! Quel figlio monello che non voleva mai stare fermo.

“Come mai non ti posi qui vicino a noi?” domandava la mamma.

“Sono uno spirito libero e sto bene da solo!” rispondeva Viri svolazzando divertito sopra la testa della mamma, la quale poverina si accontentava di guardarlo da lontano.

Con il passare del tempo anche la sua amica Aria cominciava ad esser stanca dei suoi soliti giochi e per questo non andava più a trovarlo ma a lui in fondo non importava, continuava a ripetersi “Io sono uno spirito libero e sto bene da solo”. 

Fu così che un giorno decise che era stanco di starsene lì nel suo paesino, in giro non c’era più nessuno a cui dare fastidio e a casa non riusciva a stare. Era arrivato il momento di scappare! A quel birboncello venne in mente un’altra delle sue trovate, ne sapeva una più del diavolo quel piccoletto! Per fuggire pensò di infilarsi nel naso di un marinaio, fermo immobile e senza fare rumore. Attraversò l’intero Oceano nella sua piccola stiva. Appena toccata terra Viri cominciò con i suoi soliti giochetti, proprio sotto il naso del povero marinaio e in un attimo ecco che... etciù! Finalmente era di nuovo libero! Appena aperti gli occhi, lo spettacolo fu incredibile. “In questo nuovo posto”, pensò tra sé e sé, “Lo spasso è assicurato! Guarda quanti nasi!”. Andava contando tutte quelle persone con gli occhi che gli brillavano “Uno, due, tre, quattro…”. Contarli tutti era impossibile! 

Nel corso delle settimane fece ogni disastro immaginabile, ogni passante che incontrava eccolo lì a farlo starnutire. Non c’era persona alcuna che potesse sfuggire ai dispetti di quel birbante! Nessuno poteva più lavorare a causa di tutti quegli starnuti, anche i maestri e le maestre non potevano andare a scuola dai loro bimbi perché a furia di starnutire non riuscivano ad insegnar loro niente. In giro le strade sembravano deserte e uno strano silenzio c’era nell’aria. Soltanto qualche volta in sottofondo si sentiva un eeeeetciù, era quel combina guai di Viri che colpiva ancora!

Giorno dopo giorno Viri era sempre più annoiato, quel posto che gli era sembrato tanto meraviglioso cominciava a deluderlo un po’. Fu così che decise di riposarsi sul davanzale di una finestra, in attesa di qualche passante. Aspetta, aspetta, aspetta… cadde in un sonno profondissimo.

“Ehi… ehi tu! Dormi?”

“Oh mamma mia!” – Viri si svegliò di soprassalto e vide due grandi piccoli occhi che lo osservavano. – “Chi sei?”

“Ciao, finalmente sei sveglio! Io sono Leo, ti va di giocare insieme?” gli chiese quel bambino dai grandi piccoli occhi.

“Cosa? Non ci penso affatto!” rispose infastidito Viri.

“Non sembri di queste parti, da dove vieni?”

“Vengo da molto lontano ma non è affar tuo. Meglio che non ti impicci!” replicò fermamente Viri.

 “Come ti chiami? Sei solo? Dove sono la tua mamma e il tuo papà?” gli domandò Leo incuriosito.

“Quante domande!”

“Mi piacciono le domande! Ogni volta che qualcuno risponde ad una mia domanda io so qualcosa in più. Per questo più che le domande mi piacciono le risposte! Cercherò di andare per ordine: come ti chiami?”

“Viri, mi chiamo Viri” disse girando leggermente la testa dall’altra parte.

“Ahahah! Che nome buffo!” 

“Ma... io... mmm!” rispose Viri balbettando colto di sorpresa da tanta sincerità.

“Dove sono la tua mamma e il tuo papà?” 

“Sono rimasti a casa” 

“Quindi sei solo?” gli chiese Leo preoccupato.

“Certamente” - replicò Viri fiero – “Io sono uno spirito libero e sto bene da solo” 

“Non ti mancano la tua mamma e il tuo papà?” 

“Non molto” rispose Viri. 

Leo allora lo guardò con gli occhi sgranati “Impossibile!”

“Certo che è possibile! Allora non mi ascolti? Ti ho già detto che sono uno spirito libero e non ho proprio bisogno di nessuno”. Viri non voleva proprio avere a che fare con quel cucciolo di uomo, dai grandi piccoli occhi. I bambini non gli erano mai piaciuti, con quei minuscoli nasi non riusciva a divertirsi come al suo solito insieme a loro.

“Sarà…” – gli rispose Leo alzando le spalle e abbassando la testa sconfortato da quel suo nuovo amico così burbero – “Ma sei sicuro di saper stare da solo?”

“Non credi sia possibile?”. Tutta quell’insistenza cominciò a fare vacillare le certezze di Viri.

“Tutti i piccoli del mondo hanno bisogno dei propri genitori per poter imparare a fare le cose senza di loro. Prendi me, adesso quando sono a scuola riesco a stare da solo ma prima ho imparato a colorare vicino alla mia mamma. Non era importante che lei lo facesse insieme a me, quello che mi interessava è che se avessi avuto bisogno, lei sarebbe arrivata in un baleno!”

“Io non ho mai fatto nulla insieme alla mamma, ho sempre voluto essere solo e non sono mai riuscito a stare fermo”

“Forse perché non sapevi veramente cosa fare?” chiese il piccolo Leo senza esitazione.

“Forse io...” Viri non riuscì a completare la frase perché Leo lo interruppe.

“Scusami purtroppo ora devo salutarti, mamma mi aspetta per fare i compiti, con questa storia degli starnuti, visto che è meglio non uscire, facciamo i compiti sempre insieme! È stato bello conoscerti, spero tu possa tornare a casa prima o poi”

“È stato bello anche per me, arrivederci piccolo Leo”.

Viri per la prima volta, da quando era nato, sentì una grande nostalgia di casa e della sua mamma. Della sua cameretta e dei giochi con il babbo. Forse non era riuscito a stare mai fermo perché in fondo non sapeva bene cosa fare e pur di non fare niente semplicemente si muoveva. Probabilmente aveva ancora bisogno della sua mamma e del suo papà per poter imparare a fare le cose dandogli un senso e anche riuscire davvero ad essere solo. Cominciò a svolazzare per tutta la città senza meta, dietro ad ogni finestra c’era una famiglia. Eh già... tutti in casa per colpa dei suoi dispetti. Viri vedeva così tanti bambini: alcuni giocavano a palla con i propri papà, altri erano in cucina ad impastare la frolla per una buona crostata insieme alla propria mamma, altri ancora rannicchiati sul divano a guardare i cartoni tra le carezze di chi li ama. Viri improvvisamente si sentì profondamente solo e iniziò a piangere, così forte che anche l’Aria cominciò a tremare. La sua cara e dolce amica Aria. 

“Viri…” gli sussurrò lievemente con un soffio di vento.

“Aria! Amica mia sei tu?” disse Viri alzando la testa in un baleno.

“Mio caro e piccolo Viri, cosa hai combinato?” gli rispose lei con tono di rimprovero.

“Lo so, ho sbagliato. Non voglio più essere solo e contro tutti, voglio tornare a casa dalla mia mamma e dal mio papà”

“Ti hanno cercato a lungo ma non hanno mai perso la speranza di riaverti tra le loro braccia. Suvvia mascalzone, sali sulle mie spalle, ti riporterò fino a casa”.

Ci volle più di qualche giorno per ritornare e più il tempo passava più il cuore di Viri si riempiva di gioia all’idea di rivedere, dopo così tanto tempo, la sua mamma e il suo papà. Dall’altra parte del mondo, ignari della sorpresa che li stava aspettando, c’erano i genitori di Viri affaccendati nelle loro cose. Improvvisamente la mamma cominciò a sentire qualcosa che le si muoveva proprio all’altezza dello stomaco o forse più su... eh si, che diceva?! Era davvero più su, a sinistra, proprio dentro al cuore. Quella strana sensazione la spinse a correre fuori in giardino e non appena fu sull’uscio di casa vide atterrare il piccolo Viri che non appena ebbe le zampette a terra cominciò a correrle incontro. Si abbracciarono così forte come forse non avevano fatto mai.

“Mamma...” gli disse Viri con gli occhi lucidi.

“Amore mio grande, bentornato a casa! Da oggi in poi ci sarò, né troppo né troppo poco ma soltanto... sufficientemente”.

Da quel momento Viri imparò giorno dopo giorno cosa voleva dire essere insieme a qualcuno e negli anni a venire, proprio come gli aveva insegnato il piccolo Leo, anche ad essere solo. Senza mai dimenticare che ogni cosa ha il suo tempo, e con la speranza che un giorno sarebbe tornato a trovare quell’amico dai piccoli grandi occhi. Stavolta, senza fare pasticci. 

 

Un ringraziamento particolare a Roberta, la mia maestra preferita, per aver dato forma e colore al nostro amico Viri. Sei speciale!